Mons. Giuseppe La Verde
Nato
a Barrafranca il 20 marzo 1919, deceduto il 17 gennaio 2006. Ordinato
presbitero il 29 giugno 1945. Direttore Spirituale in Seminario dal 1951 al 1979.
Parroco di S. Veneranda e Priore di S. Andrea a Piazza Armerina dal 1954 al
1967. Assistente Diocesano GIAC nel 1969.
Parroco della Matrice e Vicario Foraneo di Barrafranca
dal 1979 al 1994. Cappellano di Sua Santità il 28 luglio 1961.
Sulla
breccia fino all’ultimo, trascinando i piedi ed appoggiandosi al bastone, ma
lucido, volitivo, generoso. Fu, sin dal 1953, professore in Seminario
insegnando prima alle Medie e successivamente alla facoltà di Teologia, per
divenire poi docente di Storia della Chiesa, Ascetica e Mistica. Ma oltre che
insegnante di diverse generazioni di presbiteri, è stato anche umile servitore
della Chiesa come parroco prima a Piazza Armerina e poi a Barrafranca.
S’é
occupato di Azione Cattolica nei vari rami, e lo ha fatto con questo stile, diventando
punto di riferimento per le confessioni e la direzione spirituale. E avrebbe
potuto dire con S. Paolo: “fatevi miei imitatori come io lo sono di Cristo”.
Non ha contrastato mai con nessuno, apprezzando il bene ovunque fosse, aiutando
a farlo emergere in ognuno. Non
che avesse un carattere flemmatico, ma sapeva controllarsi e riportare ogni prova e difficoltà nell’accettazione-sacrificio
a Dio.
Una
costante della sua spiritualità per tutta la vita è stata l’accettazione d’ogni
evento, anzi del quotidiano anche più insignificante, dalle mani di Dio, unito
al sacrificio, alla rinunzia, alla sopportazione delle incomprensioni, dei
malesseri fisici. E, ne ha avuti, come tutti, accrescendosi col passare degli anni, ma non lasciandosi mai
piegare. Per questo suo animo i Superiori hanno potuto contare su di lui, per
compiti difficili, trovando ubbidienza ed accettazione totale. La sua era la
mistica della volontà di Dio in quella dei Superiori e nei fatti della vita.
Capire
la spiritualità di p. La Verde è capire, in un certo senso, quella dei sacerdoti
e dei laici che lui ha formato. Per anni ha insegnato Teologia Ascetica e Mistica seguendo come testo l’opera in tre
volumi del Domenicano p. Garrigou - Lagrange “Le tre età della vita interiore”,
quanto di più avanzato esistesse prima del Concilio, che si ispira ai principi
teologici di san Tommaso, alla teologia mistica di san Giovanni della Croce e
di san Francesco di Sales. Della spiritualità di Sant’Ignazio inculcava “agere
contra” agire contrariamente ai propri
desideri ed aspirazioni, non se-guire “il
mi piace e non piace”, in una purificazione interiore ed esteriore totale per fare
“tutto per la Gloria di Dio”. Continuò ad ispirarsi a “La pratica di
amare Gesù” e “Le glorie di Maria” di Sant’Alfonso M. Liguori. Completava la devozione
alla Madonna “Il Trattato della vera devozione alla Santa Vergine” di s. L.
Grignion de Montfort.
Ha
recepito il Concilio Vaticano II come sforzo ed anelito al cambiamento della vita
di ognuno, al tendere alla perfezione cristiana, fatta di virtù. L’identità sacerdotale
era quella condivisa negli anni 50/70, per cui il sacerdote “alter Christus” aveva
una sovrannatura ontologica, non solo morale.
I modelli
di vita erano il Curato d’Ars, uomo del sacrificio, della rinuncia totale, s.
Domenico (dare agli altri quello che s’è contemplato), per dire due nomi che
tracciavano la dimensione ascetica personale e quella pastorale.
In
queste discorso i1 sacerdote si discostava dal cristiano comune solo per l’intensità
e la qualità, Tutti siamo chiamati alla santità ,attraverso il sacrificio, che
nella S. Messa ha il suo segno pieno. La vita del cristiano è sacrificio, come
è stata la vita di Cristo e dei santi. L’insistere in questo lo poneva fuori tempo.
Ne è passata dal 1940 ad oggi acqua sotto i ponti! Lui concepiva la costruzione
della persona (non ignorava l’apporto delle scienze psicologiche e pedagogiche)
e il senso della responsabilità attraverso l’auto-formazione, cioè la volontà di
rinuncia, di auto-modellarsi. Il peccato era l’ostacolo da vincere e tutte le
pulsazioni che allontanavano dall’esercizio delle virtù, erano da controllare,
modificare, vincere. Ciò che insegnava agli altri, valeva per sé, anzitutto.
Questo l’ha reso fedele al suo sacerdozio, agli impegni spirituali e pastorali.
Era puntiglioso nel preparare gli incontri con i seminaristi, le omelie, presentando
la dottrina ascetica con appunti, schemi, approfondimenti.
L’impegno
nella vita spirituale passa dalla conoscenza e questo lui ha curato con attenzione e puntigliosità. C'è una quantità non
indifferente di scritti, appunti, quaderni (che ho la fortuna di custodire,
avendo acconsentito di darmeli). Fonte della vita di unione con Dio è il
silenzio, il raccoglimento interiore, la docilità allo Spirito e alle emozioni.
È tutto un mondo intimo in cui solo attraverso gli scritti e la parola si
entra. I suoi scritti sono interessanti per questo contatto profondo con il
Signore e la sua capacità di sminuzzare i concetti ardui della vita ascetica.
Ha mantenuto il fervore, la cura, 1’impegno sino alla fine. Per non abbandonare
il lavoro, per non vivere nella casa di parenti, magari servito ma lontano
dalle anime, ha preferito vivere in paese da solo, accudito da chi gli ha voluto
bene. Ritorno allo spirito di maternità spirituale, che si esprimeva nella
comprensione e nella misericordia. Nelle confessioni non era accomodante, ma
non si ergeva a giudice. Incoraggiava, esortava, dava indicazioni precise. Era
aperto alle innovazioni del momento, cogliendole come attualità e strumenti di
aggiornamento pastorale. E per questo che man mano s'è lasciato coinvolgere dal
movimento del Mondo Migliore di p. Lombardi, dagli Oasini di p. Rotondi, dal Terzo
Ordine Domenicano (aveva iniziato gli studi dai Domenicani), dal FAC: come
metodo pastorale, e prima ancora da “Parrocchia Comunità Missionaria” del Michenau.
Verso i movimenti ecclesiali non ha avuto esclusione, restando fedele all’Azione
Cattolica e ai suoi metodi, promuovendo così il laicato cattolico. Le figure di
maggiore spicco della Diocesi sono passate
dalla sua direzione spirituale. Negli ultimi anni ha dato servizio in
parrocchia e ai neocatecumenali.
Non
ci aveva insegnato ad essere eclettici, a sapere come ape raccogliere da mille
fiori il nettare da trasformare in miele? Lui c’è riuscito. Il lungo lavorio di
perfezione, durato una lunga vita, s’è concluso per “ricevere la corona di
gloria dal Signore”.
Salvatore Licata
Don Pino Giuliana