sabato 10 gennaio 2015



Mons. Giuseppe La Verde




Nato a Barrafranca il 20 marzo 1919, deceduto il 17 gennaio 2006. Ordinato presbitero il 29 giugno 1945. Direttore Spirituale in Seminario dal 1951 al 1979. Parroco di S. Veneranda e Priore di S. Andrea a Piazza Armerina dal 1954 al 1967. Assistente Diocesano GIAC nel 1969. Parroco della Matrice e Vicario Foraneo di Barrafranca dal 1979 al 1994. Cappellano di Sua Santità il 28 luglio 1961.
Sulla breccia fino all’ultimo, trascinando i piedi ed appoggiandosi al bastone, ma lucido, volitivo, generoso. Fu, sin dal 1953, professore in Seminario insegnando prima alle Medie e successivamente alla facoltà di Teologia, per divenire poi docente di Storia della Chiesa, Ascetica e Mistica. Ma oltre che insegnante di diverse generazioni di presbiteri, è stato anche umile servitore della Chiesa come parroco prima a Piazza Armerina e poi a Barrafranca.
S’é occupato di Azione Cattolica nei vari rami, e lo ha fatto con questo stile, diventando punto di riferimento per le confessioni e la direzione spirituale. E avrebbe potuto dire con S. Paolo: “fatevi miei imitatori come io lo sono di Cristo”. Non ha contrastato mai con nessuno, apprezzando il bene ovunque fosse, aiutando a farlo emergere in ognuno. Non che avesse un carattere flemmatico, ma sapeva controllarsi e riportare ogni prova e difficoltà nell’accettazione-sacrificio a Dio.
Una costante della sua spiritualità per tutta la vita è stata l’accettazione d’ogni evento, anzi del quotidiano anche più insignificante, dalle mani di Dio, unito al sacrificio, alla rinunzia, alla sopportazione delle incomprensioni, dei malesseri fisici. E, ne ha avuti, come tutti, accrescendosi col passare degli anni, ma non lasciandosi mai piegare. Per questo suo animo i Superiori hanno potuto contare su di lui, per compiti difficili, trovando ubbidienza ed accettazione totale. La sua era la mistica della volontà di Dio in quella dei Superiori e nei fatti della vita.
Capire la spiritualità di p. La Verde è capire, in un certo senso, quella dei sacerdoti e dei laici che lui ha formato. Per anni ha insegnato Teologia Ascetica  e Mistica seguendo come testo l’opera in tre volumi del Domenicano p. Garrigou - Lagrange “Le tre età della vita interiore”, quanto di più avanzato esistesse prima del Concilio, che si ispira ai principi teologici di san Tommaso, alla teologia mistica di san Giovanni della Croce e di san Francesco di Sales. Della spiritualità di Sant’Ignazio inculcava “agere contra” agire contrariamente ai propri desideri ed aspirazioni, non se-guire “il mi piace e non piace”, in una purificazione interiore ed esteriore totale per fare “tutto per la Gloria di Dio”. Continuò ad ispirarsi a “La pratica di amare Gesù” e “Le glorie di Maria” di Sant’Alfonso M. Liguori. Completava la devozione alla Madonna “Il Trattato della vera devozione alla Santa Vergine” di s. L. Grignion de Montfort.
Ha recepito il Concilio Vaticano II come sforzo ed anelito al cambiamento della vita di ognuno, al tendere alla perfezione cristiana, fatta di virtù. L’identità sacerdotale era quella condivisa negli anni 50/70, per cui il sacerdote “alter Christus” aveva una sovrannatura ontologica, non solo morale.
I modelli di vita erano il Curato d’Ars, uomo del sacrificio, della rinuncia totale, s. Domenico (dare agli altri quello che s’è contemplato), per dire due nomi che tracciavano la dimensione ascetica personale e quella pastorale.
In queste discorso i1 sacerdote si discostava dal cristiano comune solo per l’intensità e la qualità, Tutti siamo chiamati alla santità ,attraverso il sacrificio, che nella S. Messa ha il suo segno pieno. La vita del cristiano è sacrificio, come è stata la vita di Cristo e dei santi. L’insistere in questo lo poneva fuori tempo. Ne è passata dal 1940 ad oggi acqua sotto i ponti! Lui concepiva la costruzione della persona (non ignorava l’apporto delle scienze psicologiche e pedagogiche) e il senso della responsabilità attraverso l’auto-formazione, cioè la volontà di rinuncia, di auto-modellarsi. Il peccato era l’ostacolo da vincere e tutte le pulsazioni che allontanavano dall’esercizio delle virtù, erano da controllare, modificare, vincere. Ciò che insegnava agli altri, valeva per sé, anzitutto. Questo l’ha reso fedele al suo sacerdozio, agli impegni spirituali e pastorali. Era puntiglioso nel preparare gli incontri con i seminaristi, le omelie, presentando la dottrina ascetica con appunti, schemi, approfondimenti.
L’impegno nella vita spirituale passa dalla conoscenza e questo lui ha curato con attenzione e puntigliosità. C'è una quantità non indifferente di scritti, appunti, quaderni (che ho la fortuna di custodire, avendo acconsentito di darmeli). Fonte della vita di unione con Dio è il silenzio, il raccoglimento interiore, la docilità allo Spirito e alle emozioni. È tutto un mondo intimo in cui solo attraverso gli scritti e la parola si entra. I suoi scritti sono interessanti per questo contatto profondo con il Signore e la sua capacità di sminuzzare i concetti ardui della vita ascetica. Ha mantenuto il fervore, la cura, 1’impegno sino alla fine. Per non abbandonare il lavoro, per non vivere nella casa di parenti, magari servito ma lontano dalle anime, ha preferito vivere in paese da solo, accudito da chi gli ha voluto bene. Ritorno allo spirito di maternità spirituale, che si esprimeva nella comprensione e nella misericordia. Nelle confessioni non era accomodante, ma non si ergeva a giudice. Incoraggiava, esortava, dava indicazioni precise. Era aperto alle innovazioni del momento, cogliendole come attualità e strumenti di aggiornamento pastorale. E per questo che man mano s'è lasciato coinvolgere dal movimento del Mondo Migliore di p. Lombardi, dagli Oasini di p. Rotondi, dal Terzo Ordine Domenicano (aveva iniziato gli studi dai Domenicani), dal FAC: come metodo pastorale, e prima ancora da “Parrocchia Comunità Missionaria” del Michenau. Verso i movimenti ecclesiali non ha avuto esclusione, restando fedele all’Azione Cattolica e ai suoi metodi, promuovendo così il laicato cattolico. Le figure di maggiore spicco della Diocesi sono passate dalla sua direzione spirituale. Negli ultimi anni ha dato servizio in parrocchia e ai neocatecumenali.
Non ci aveva insegnato ad essere eclettici, a sapere come ape raccogliere da mille fiori il nettare da trasformare in miele? Lui c’è riuscito. Il lungo lavorio di perfezione, durato una lunga vita, s’è concluso per “ricevere la corona di gloria dal Signore”.

Salvatore Licata
Don Pino Giuliana

martedì 6 gennaio 2015


Mons. Giovanni Cravotta



Giovanni Cravotta nacque a Barrafranca, da Luigi e Marianna Tummino, il 7 dicembre 1925. Dopo aver completato gli studi delle elementari a Barrafranca, entrò in seminario dove venne ordinato sacerdote il 29 giugno 1948. Poco tempo dopo fu nominato Vicario Cooperatore prima e Parroco della Chiesa Madre di Barrafranca poi, rimanendovi fino alla morte, avvenuta, a Palermo, il 9 giugno 1979. Dal 1951 al 1952 fu insegnante presso il seminario di Piazza Armerina, Assistente GIAC 1951, Vicario Foraneo dal 1961 al 1972, Coordinatore Vocazionale nel 1968, Promotore delle Orsoline a Barrafranca, Assistente in Diocesi e Delegato Vescovile per le Religiose nel 1967.
«Non è facile morire a 54 anni col sorriso sulle labbra, nel pieno vigore delle energie. Era uomo di grande personalità, intelligente, coraggioso, forte, generoso, preparato, pronto a tutte le novità culturali, che non trascurava mai. Era deciso... rivoluzionario, dalle soluzioni radicali, quindi scomodo e, spesso, incompreso. Dall’attivismo eccezionale. Sconosceva i mezzi termini, il parlare sottovoce, diplomatico. Era razionale, dalle grandi passioni per la musica, il teatro, la politica, ma divorato da quella fede incrollabile che non lascia in pace un istante. Era sempre in movimento, organizzava ed insegnava». Così lo ha ricordato l’avv. Giuseppe Bonincontro, nel decimo anniversario della morte.

Padre Cravotta, alle elementari, col maestro Vittorio Guarneri

Colpito da una terribile malattia, padre Cravotta non ne ebbe timore, anzi la affrontò col sorriso sulle labbra, con un sorriso amaro per il dispiacere di lasciare i suoi fedeli, ma con la certezza di avere bene operato, con la certezza di chi ha speso la propria esistenza al servizio di Dio.
Moltissimi lo amarono profondamente, pochi non lo compresero. Padre Cravotta era uomo di grande personalità e intelligenza, pronto a tutte le novità culturali, che non trascurava mai.
Uomo rivoluzionario, dalle soluzioni radicali, quindi scomodo: sconosceva il senso diplomatico delle relazioni, il savoir faire, i mezzi termini, il parlare con la voce ovattata dei sacerdoti di una volta, i discorsi morbidi e suadenti.
Era un razionale, dalle grandi passioni, per la musica, per il teatro, la politica, ma divorato da una fede incrollabile, che non lo lasciava in pace un solo istante: era sempre in movimento, organizzava ed insegnava.
Ripeteva spesso che vivere da cristiani significa essere uomini di rottura, pietra di scandalo.
Diceva sempre - e lo fece anche nell’ultima omelia: “State attenti, quando il vostro comportamento piace a tutti, c’è qualcosa in voi che non va; perché non si può piacere a Dio e al suo nemico”, ricordando l’insegnamento dell’apostolo delle genti, San Paolo, nella sua lettera ai Galati: “Se ancora piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo”.
Questa è la chiave di lettura di tutta la sua vita.
Il suo impegno pastorale non ebbe mai tregua. Si alzava alle 6 del mattino ed andava a letto a mezzanotte, lavorando senza sosta, correndo sempre, perché era convinto che la Chiesa non poteva restare estranea alla società costituita, alle istituzioni civili, alla realtà che la circonda, non poteva restare estranea alla lotta contro la mafia e contro il mal costume amministrativo e politico, al di fuori di ogni retorica.
«Ricordo - scrive l’avv. Bonincontro -, lo scontro personale con un mamma santissima, al quale aveva pestato i calli. Tornavamo verso casa per il corso Vittorio Emanuele ed incontrammo questo personaggio, il quale gli si parò davanti, dicendogli che doveva cambiare strada e metodo e non impicciarsi in certe faccende, altrimenti gli avrebbe fatto passare dei guai. Padre Cravotta gli sorrise e gli rispose con una semplicità disarmante: “Io continuerò la mia missione; Lei non mi fa paura, non può farmi paura, perché io dalla mia parte ho il Signore, che è anche il Suo Signore”. La discussione finì lì, ma la battaglia continuò».
Padre Cravotta intuì che per potere incidere nella realtà sociale e modificarla era necessario preparare dei giovani e per questa ragione cercò di spingere quanti più giovani poté, uomini e donne nel mondo sociale e nel mondo politico.
Organizzò e riorganizzò tutti i movimenti dell’A. C., costituì ed attivò il Comitato Civico attirando masse di giovani, tenendo conferenze dappertutto, preparando e gestendo corsi in ogni parte della Diocesi, corsi di formazione religiosa e di formazione professionale in tutti i campi.
Costituì la S. Vincenzo nella nostra città con l’assistenza a casa di tutti i poveri, gli ammalati e gli anziani.
Diede battaglia contro l’indifferenza in ogni angolo del paese, in ogni bottega, in ogni circolo, in ogni crocevia.
Nominato parroco, con la valida collaborazione del giovane Cappellano padre Bonfirraro, la parrocchia diventò veramente un centro attivo di evangelizzazione.
Insegnò per un certo periodo presso il nostro Seminario. Si dedicò con continuità e abnegazione alle vocazioni ecclesiastiche e al pre-seminario, ed alla istituzione della Compagnia di S. Orsola, di cui divenne il primo superiore diocesano. Una struttura solida, permanente, per operare in profondità.


Mons. Cravotta mentre distribuisce la prima Comunione

Altra iniziativa rivoluzionaria di mons. Cravotta fu la proposta di vita comunitaria fra tutti i confratelli: la Canonica della Chiesa Madre divenne così la casa comune di tutti i sacerdoti, i quali mettevano in comune tutto: i propri guadagni, le proprie delusioni, le proprie speranze per trarne maggiore impulso e linfa nuova per l’attività del giorno dopo.
Altra iniziativa rivoluzionaria, che non trovò seguito, fu la proposta fatta a tutti gli intellettuali di buona volontà, e appartenenti a tutti i colori politici senza discriminazione alcuna, di creare delle commissioni di studio in modo da costituire delle amministrazioni ombra che studiassero le soluzioni dei problemi più importanti della cittadinanza, proponendone i risultati alle amministrazioni e alla cittadinanza, spronando tutti, amministratori e cittadini alla realizzazione sollecita delle decisioni. Il tutto sulla base del volontariato e della competenza professionale.
A questo periodo seguì il periodo della operosità senza sosta: costruire, costruire, costruire. Il restauro della chiesa Madre, nei anni ’70, è il frutto del lavoro incessante di padre Cravotta: lavorava giorno e notte, a volte, per preparare e copiare progetti per evitare la scadenza di un finanziamento. Opera sua è anche la costruzione della Canonica e della Casa del Sacerdote.
Padre Giovanni non aveva nulla quando si consacrò al Signore e morì senza lasciare nulla. Ha applicato alla lettera l’insegnamento di Cristo “Non vogliate accumulare tesori sulla terra dove la ruggine e la tignola consumano e i ladri risotterrano e rubano: ma fatevi dei tesori in Ciclo”.

Al Suo esempio, alla sua parola, al suo insegnamento sono state educate diverse generazioni. Lasciò un patrimonio umano e spirituale inestimabile, che fu raccolto e valorizzato dal suo successore, mons. Giuseppe La Verde, il quale continuò la sua opera molto lodevolmente, con impegno e abnegazione. Padre Giovanni ha lasciato delle opere che parleranno ai posteri per sempre. Noi abbiamo perduto un grande Sacerdote, ma abbiamo la certezza di avere un Santo amico, in Paradiso.
Salvatore Licata

lunedì 5 gennaio 2015


Don Giuseppe Bonfirraro



Giuseppe Bonfirraro nasce a Barrafranca il 13 marzo del 1939, da padre contadino e madre casalinga. Dopo gli studi classici, entra nel seminario vescovile di Piazza Armerina (EN) dove viene ordinato sacerdote, il 28 giugno 1964, da S.E. Rev.ma Mons. Antonino Catarella.
All’inizio del suo mandato pastorale fu inviato ad esercitare il suo ministero presso la chiesa Madre di Barrafranca come vice parroco e contemporaneamente insegna religione cattolica negli istituti scolastici di Gela.
Nel settembre 1987, viene nominato parroco della chiesa di Maria SS. della Stella, dove si dedica a tempo pieno al culto della Madonna, patrona di Barrafranca. Durante il suo ministero sacerdotale fu un grande prete, gioviale, generoso, disponibile e preparato. E questa sua gioia di vivere non gli venne meno nemmeno quando un male maligno cominciò a minargli il corpo e l’anima. Nonostante le sofferenze, a volte atroci, egli continuava a svolgere il suo ministero e a dedicarsi ai suoi parrocchiani.
«La sua esistenza - scrive Gaetano Vicari, suo grande amico -, è stata accompagnata per molti anni dalla malattia, che egli ha trascurato per gli impegni del suo ministero sacerdotale, al quale consacrava tutto se stesso, con una dedizione totale. Non ricordo in quanti ospedali sia stato ricoverato, o quanti interventi, sempre più lunghi e dolorosi, abbia subito: ogni volta però ritornava, come ricaricato di novello fervore, per dedicare la sua vita alla gente, specialmente ai bisognosi.»
«Nonostante i numerosi impegni pastorali - scrive Gaetano Vicari -, riusciva a trovare sempre un po’ di tempo da dedicare alla pittura, per la quale nutriva tanto amore e tanta passione. Mi resterà sempre impresso nella memoria il suo tocco leggero… il suo modo tutto particolare di sfiorare la tela con il pennello…»
I suoi esordi artistici (avvenuti nel 1960) si collocano nel solco di una pittura figurativa dove prevale la spontaneità, il sentimento e la fede in Dio.
Innamorato della natura, e per i cavalli in particolare, trasfonde questa sua passione in numerosi quadri che, assieme a quelli con tema religioso, costituiscono la maggiore produzione pittorica.
Alle mostre cui partecipava riceveva lusinghieri consensi sia dal pubblico che dalla critica più attenta. «Le sue opere - ebbe a scrivere un critico -, si possono definire ricche di sentimento e i suoi quadri sono da considerarsi, quasi solitamente, l’insieme di piccoli mondi creati precedentemente e poi riuniti in un’unica opera.»
«Nei sui quadri - scrive Eleonora Vernasca -, crea dei piccoli mondi: così come la creazione è il risultato di parecchie creazioni in cui la precedente è sempre compiuta dalla seguente, un suo quadro è un insieme armonico formato da una serie di quadri sovrapposti in cui ogni particolare si aggiunge alla realtà e la innalza di un grado verso la perfezione, così che l’universo visibile non diviene altro che un caledoscopico magazzino di immagini, sensazioni, segni.»
Don Bonfirraro, nel corso degli anni, si scopre anche valente ritrattista espressivo, tanto che numerosi parrocchiani, ma anche estimatori, gli richiedono il ritratto di un proprio congiunto e don Giuseppe non diceva mai di no. E a proposito dei suoi ritratti così ebbe a scrivere il critico F. Rossi: «Ritrattista incisivo, Giuseppe Bonfirraro sa raggiungere effetti singolari in quelle opere che rappresentano interrogativi inquietanti che testimoniano la sua appartenenza all’area della pittura figurativa più attuale e aderente alla condizione esistenziale dell’uomo contemporaneo. Più che un’espressione concettuale del visivo, il suo mondo poetico coglie la presenza della quotidianità in cui le cose vivono, esaltando l’incidenza della luce sulle superfici e sui piani a scandire il fluire del tempo.»



Gesù di Zeffirelli
(olio su tela)


Altra lusinghiera critica l’ebbe da E. Moro: «Di estrazione fedelmente realistica, la figurazione di Giuseppe Bonfirraro non rinuncia tuttavia a conferire alle immagini un valore altamente simbolico che ne qualifichi la valenza morale e ne accresca la pregnanza comunicativa volta ad esprimere un contenuto di chiara e a volte esplicita leggibilità . Il fattore illuministico che non rifugge da effetti di grande efficacia espressiva quali improvvisi bagliori e controluce, diviene in tale contesto determinate quale strumento di rivelazione della forma che assume evidenza plastica nell’incisività del colore deciso e dei contrasti, nonché nel dinamismo compositivo accentuato dal gesto spesso tramutato in atteggiamento carico di un più che evidente significato che si vuole porre senza mediazioni o infingimenti alla comprensione di tutti.»
Ma di don Bonfirraro, oltre a quelli citati, si sono occupati anche altri critici tra cui: Laura Capellini, G. Tenghi Scinardo, Roberto Mangione, Guglielmo Ara, Antonio Napolitano, Giuseppe Citro, Carmine Manzi, Giuseppe Bonincontro, Angioletta Giuffrè, Maria Vittoria Borghese e Luigi Barbaro.
Numerose le mostre a cui ha partecipato ottenedo sempre lusinghiere critiche e numerosi premi, sia in Italia che all’estero.
Per la sua produzione artistica e per le sue benemerenze nel campo dell’arte è stato incluso, honoris causa, nell’annale degli Artisti Celebri, Grandi Opere da Collezione, dell’Ente Europeo Manifestazioni d’Arte.
Numerosi anche i riconoscimenti ottenuti nel corso della sua carriera artistica.
Nel 1975 viene nominato accademico di merito, sezione arti, presso l’Accademia Internazionale di Pontzen, con attestato dell’8/11/1975.
Nel 1981 viene nominato accademico di merito, sezione arti, presso l’Accademia Internazionale Costantiniana, con attestato del 15/1/1981.
Altri riconoscimenti furono quello di: Senatore Accademico dell’Istituto Superiore Internazionale di Studi Umanistici; Maestro Accademico dell’Accademia dei Maestri, castello di Pralboino (Brescia); Professore honoris causa in Discipline Umanistiche della Interamerican University of Humanistic Studies, rilasciato dal rettorato per l’area europea, Statuto dell’Istituto Europeo di Cultura, Calvalone (Crotone); Socio benemerito dell’Associazione Culturale Regionale “amici del presepio”.
Nel 2000 fonda la Corale Polifonica interparrocchiale "Maria SS. della Stella" di Barrafranca, la quale oggi è formata da trenta artisti.
«Padre Bonfirraro - afferma Vicari -, rivive in ogni suo quadro, creato con una sensibilità artistica fuori dal comune: in ogni suo dipinto c’è un pezzetto della sua vita, con la sua gioia, il suo tormento, la sua serenità, la sua indignazione, la sua sofferenza, e soprattutto la sua fede profonda.»
Don Giuseppe muore il 16 dicembre 2009.
SALVATORE LICATA
GAETANO VICARI



Cavalli allo stato brado

(olio su tela)