ANGELO ANZIOSO
Angelo Anzioso nasce a Barrafranca il 15 marzo 1893 da
Matteo Afacebooknzioso Zagarella e da Filippa Bartolotta. Ultimo di dieci figli (Rocca,
Giuseppe, Giuseppina, Calogero, Alessandro, Rosario, Brigida, Maria Crocifissa,
Rosa), cresciuto in una famiglia tradizionalmente e profondamente religiosa,
l’Anzioso entra presto nel Seminario di Piazza Armerina (vescovo mons. Mario
Sturzo), per seguire quella vocazione religiosa da cui mai si sarebbe
discostato.
Lo scoppio della Grande Guerra lo coglie alla soglia
del sacerdozio che non esita ad abbandonare per andare a combattere sul Carso e
sull’Isonzo, per ridare all’Italia quei
confini che Iddio e la natura le avevano assegnato. Finita la
guerra, Angelo Anzioso consegue la laurea in lettere e nel 1931 lo troviamo già
professore di italiano e latino in un liceo palermitano. Sposato con Teresa
Giarrizzo, ebbe due figlie: Filippina ed Aurora. Nel 1939 si trasferisce a
Roma, con la famiglia, dove insegna italiano,
latino e greco presso il liceo «Mameli», di cui fu anche preside. Solo raramente, e durante le vacanze, ritorna
a Barrafranca per abbracciare le sorelle Rosa e Crocifissa (le sole rimaste,
mentre del fratello Calogero, emigrato in Argentina non si ebbero mai notizie),
e per rivedere i luoghi che lo videro bambino: casa Gambino, lungo la
circonvallazione; la floretta, il giardino che circondava l’ampio caseggiato.
Muore a Caltanissetta, consueta tappa prima di arrivare a Barrafranca,
il 15 marzo
del 1958.
A 30 anni pubblica le sue prime liriche: Nebbie ed Azzurro, a cui seguono: I
Canti del sereno; Armonie dell'anima; Dodici
più due e il carme Nozze
d'oro. Poi vennero le poesie
Verso il Mistero; I
Poemetti (in due volumi) e i Profili in versi. Molto
apprezzati furono anche i testi e i saggi scolastici, alcuni dei quali adottati
dallo stesso liceo in cui insegnava: Ciceronis
de optimo genere oratorum; Catulli
carmina selecta; Virgilio: Le Georgiche; Sommario di Storia della Letteratura Italiana (in tre volumi) e Saggi
critici.
«Angelo
Anzioso, - scriveva il poeta siciliano Calogero Di Mino in una sua prefazione
-, era favorevolmente conosciuto nell’ambiente scolastico, oltre che per
l’efficacia del suo in-segnamento, anche per alcuni testi sobriamente ed
opportunamente commentati. Buon dicitore, egli viveva e faceva rivivere gli
autori che la scuola fa morire».
Tutte le liriche dell’Anzioso presentano il grande
pregio della sincerità: essa esclude la retorica e l’artifizio. In lui non c’è
la preoccupazione della originalità, della forma: ha qualcosa di suo da dire, anche se quel suo fu già detto da altri. Osserva
quello che altri hanno osservato e altri ancora osserveranno, e nota; ma gli occhi che vedono, l’animo che osserva sono diversi.
«Il Poeta trasfonde la vita in sé e il sé nella vita, nella
ricerca della verità, che non ha tempo né spazio; per ciò il soggetto nella
comunione spirituale con la natura, nella elaborazione interiore, si va
lentamente e inconsciamente oggettivando. Ma la soggettività non si cancella:
l’aquila nell’altezza della sua solitudine non perde di vista l’universo, anzi
più in alto sale, più l’abbraccia» (Calogero Di Mino).
Così solo il poeta la sua vita / vive felice fuori
d’ogni cosa, / e fra arcane bellezze si riposa (Come aquila).
«Il tutto nell’uno, - continua Di
Mino -. Non l’egoismo di chi vede il mondo a sé asservito, così come lo sogna; ma la compenetrazione del tutto
nell’uno; il quale uno, pur essendo l’infinitesima
parte dell’universo, tenta di chiuderlo a sé, per strappare quella verità che
nella fede è certezza e nella ricerca ansia, tormento, desolazione». Ma Angelo
Anzioso crede, quindi, sente la gioia, la brama come ansia suprema: lieve
il mio cuore si leva la luce a trovare, che plachi / l’anelo supremo infinito;
è l’anelito del credente. Anelito che non si estranea dal mondo, ma esce e vaga
tra i confini della Patria e spazia per l’umanità.
La guerra infiamma gli animi: avanti oltre
l’Isonzo, sino in fondo! / (...) / avanti su per l’arduo cammino / contro il
brutale barbaro nemico / con rinnovato animo latino!
Il poeta esulta. Dopo, ritorna a pensare a quel tempo:
il mondo è più bello senza quell’immane flagello; la lontananza placa il
fervore e induce alla contemplazione: Quanto è lontano ormai, quanto già
antico / quel grande nostro mistico fervore! / E come è dolce il fremito
d’amore! (Guerra).
Il fremito d’amore! La vita che ci circonda, la famiglia,
la casa, il paesello natio, la campagna che lo circonda, tutto freme d’amore,
specie quando si vive nella Roma che tutto ingoia e tramuta, che riesce a far
dimenticare perfino la miseria attuale... Ma il poeta ha la forza di
estraniarsi e di rivivere tutto ciò che fu suo.
La lirica di Anzioso è tutta soffusa di ricordi, lieti
o tristi. Quel rialzo che cinge la floretta / minaccioso di punte di cristalli
/ saltavo lesto come una saetta; ma se auliva, poi, ad intervalli / un profumo
di frutti, dietro al muro, / ero allora più agile e sicuro (Oh miei begli
anni).
E c’è un rimpianto più amaro, la mamma, soffuso però
da una certa pacatezza che è dolore sopito: Babbo non c’era più, ma i sette
figli / vedevan babbo e mamma in te, ch’avevi / col cuor di mamma pure i suoi
cipigli. / Oh santa mamma nostra, quanto brevi / furono i lunghi tuoi anni di
pena! / Oh scomparsa per noi vita serena! (Oh santa mamma mia!).
Echi di un tempo che fu; continuo rimpianto di
una giovinezza, che ora nella maturità ci appare l’unica felicità raggiunta; ma
non compresa, perciò non gustata: Oh beata mia vita di quegli anni! /
Vergine vita, lieta di canzoni, / vita di corse nel soave regno / della natura!
Lenta per i viali, / lungo le siepi, la pia mamma andava / asparagi cercando, e
nel paniere / qualche bigia lumaca la sua scia / spumosa lentamente arabescava...
Quadretti di vita paesana, di vita familiare, vita
semplice e schietta nella schiettezza del paesaggio isolano, plasmato dalla
vergine mano della natura, non ancora deturpato dalla sacrilega mano della
speculazione.
Paesaggio, a volte, fissato con mano perfetta
nell’armoniosa architettura del verso, racchiuso nella compiutezza lineare del
sonetto, come in Torre di Renda, in Crepuscolo, ne Lo specchio, lirica improvvisata in un salotto romano: Specchio,
riflesso d’anima, / specchio, forzier d’amore, / tu del pensiero complice / e
d’ogni arcan del cuore. / Specchio, che vedi lacrime / e palpiti di gioia, /
tu, che rifletti ironico / il peso d’ogni noia, / Tu sei del nostro intimo /
rivelator sincero: / conosci tu la maschera, / che agli altri asconde il vero.
/ (...) / Vorrei spezzarti, o perfido, / che gli anni mi riveli, / e strappi la
mia maschera / e il cuore mi congeli, / Quando talora un attimo / torna di
quella luce, / che m’accendeva l’anima / e ancora mi seduce! / Va via,
canaglia, un fremito / di sdegno tu mi ispiri: / con la tua faccia stupida /
raddoppi i miei martiri!
Sono, dunque, quadretti e motivi di vita umile, di
vita comune a tutti, di rimpianti, di domande, cui solo la fede può rispondere:
Che rimane di noi, quando l’oscuro / gorgo ci afferra e l’orrido velame / di
tenebre ci avvolge in un abisso / senza confini...? (Passa la vita).
Una lirica, quella di Angelo Anzioso, limpida e
chiara, come limpida e chiara è l’anima e la terra di Sicilia.
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