Gino Novelli
Gino Novelli |
Sposatosi, il 25 giugno
1923, con Maria Teresa Ippolito, figlia del medico condotto Angelo, trascorre i
primi anni del matrimonio a Barrafranca dove, nel 1928, nasce Giugiù
(Calogero). Qualche anno dopo, si trasferisce a Palermo con la famiglia e qui,
nel 1930, nasce il secondogenito Ninì (Angelo).
Grazie alla profonda
stima di cui gode e alla sua formazione culturale e religiosa, viene assunto
dai Padri Gesuiti come bibliotecario presso il collegio “Luigi Gonzaga”, dove
studiano i figli Giugiù e Ninì.
Allo scoppio della seconda
guerra mondiale, dopo i bombardamenti di Palermo, Gino Novelli e la sua
famiglia ritornano a Barrafranca e vi rimangono fino alla caduta del fascismo.
Ritornato a Palermo, Gino
Novelli riprende la sua attività di giornalista e di scrittore, ma a seguito
della malattia della moglie, ritorna nuovamente a Barrafranca ed è qui che, nel
1953, muore la sua adorata Teresa.
Il poeta con la moglie Maria Teresa e il piccolo Giugiù |
Democratico per natura e
per formazione, Gino Novelli fin da giovane milita nel Partito popolare di don
Sturzo. Nel 1924, subito dopo la morte di Giacomo Matteotti, trucidato dai
fascisti, si fa promotore, assieme a Giovanni Candura e ad altri amici, della
raccolta di fondi per la collocazione di una corona di bronzo sulla tomba
dell’esponente socialista.
Alla caduta del fascismo,
Novelli è, assieme ai vecchi esponenti del Partito popolare, tra i fondatori
della Democrazia cristiana siciliana e stringe rapporti di amicizia con
importanti uomini politici del suo partito, quali Antonio Segni, Giorgio La Pira,
Piero Bargellini, Guido Gonella, Salvatore Aldisio e Bernardo Mattarella.
Il lungo soggiorno a
Palermo, inoltre, gli dà modo di frequentare, oltre che importanti esponenti
politici (a cui mai nulla ebbe a chiedere), i salotti letterari e di
collaborare con i più importanti quotidiani italiani: “L’Avvenire d’Italia”, “Il Quotidiano”, il “Giornale di Sicilia”, mentre la
direzione di “La Sicilia del Popolo”,
organo siciliano della Democrazia cristiana, lo nomina responsabile della terza
pagina. Nel 1946, la direzione nazionale de “Il Popolo”, addirittura, gli offre la direzione della redazione
milanese del quotidiano democristiano, ma a causa della sua malattia, rifiuta
cortesemente. Così come rifiuta l’opportunità offertagli dall’on. Salvatore
Aldisio, ministro dei Lavori Pubblici: la direzione della sua segreteria
particolare.
Trasferitosi a Catania,
inizia la collaborazione con “La
Sicilia” e, per oltre un ventennio, con “L’Osservatore Romano”.
Contrario a qualsiasi
forma di notorietà e al contatto diretto con la folla a causa della malattia,
contro la quale era costretto a lottare continuamente, ebbe a scrivere una
volta: «Vi sono periodi di tempo che io mi allontano dal mondo, perché
costretto a vivere, a tu per tu, col dolore e a scandagliare fino alle radici
l’essenza del dolore, e sono momenti ora bui, ora luminosi, che si passano in
un letto di tormento, in cui mai il sonno si posa...».
Poeta, narratore,
critico, saggista e giornalista poliedrico (tanto da essere definito da
Salvatore Quasimodo, col quale era in fraterni rapporti, «maestro della
penna»), Gino Novelli partecipa, negli anni più arcanisti della poesia italiana
(1927-1937), al movimento letterario di Pietro Mignosi, che «si contrappone –
scrive Giovanna Finocchiaro Chimirri -, ad una forma di immanentismo
articolantesi nell’idealismo crociano in estetica e nel frammentarismo in
letteratura». A questa corrente il movimento mignosiano sostituisce la cosa
al discorso attraverso la «scoperta di legami cosmici e caritativi». Ed
è in questa chiave che collabora come caporedattore alla rivista di Storia,
Filosofia e Letteratura «La Tradizione» e alla rivista di poesia «Lumi», di cui
fu fondatore e direttore, e contribuisce alla nascita della nuova poesia
religiosa italiana.
Prolifica, anche, la produzione
poetica del Novelli: Questa è la vita,
L'eterna favola, Tremori, Rosario, Fiamma votiva.
Cercare
l’essenziale in una comunione immediata e povera: questo è il segreto del
poeta.
«Povera! Ecco una chiave.
Perché se religiosa è la forma dell’arte, religiose devono essere le sue virtù
particolari. Poesia è povertà. Quell’essenzialità espressiva che dice il
dicibile senza girarvi attorno e senza gonfiar la voce. Antiretorica ed
antieloquenza. Poesia è preghiera. Perché è comunicazione e comunione compiute
nel clima più diafano e vibratile». Così scriveva Pietro Mignosi a Gino Novelli
mentre dava alle stampe la raccolta di poesie Migliore Stella. «La religiosità del poeta - scriveva Andrea Tosto
De Caro -, consiste, infatti, nell'accettare la inevitabile legge della vita,
nel sentirsi felice della sua stessa amarezza, quasi dono di Dio che lo
travaglia attraverso la povertà onde purificarlo».
Gino Novelli, con Migliore Stella, appare più vicino al
dolore e all’amore, disposto a modificarsi con una libertà di accenti sinceri;
concetti, tutti, che aveva già iniziato a sviluppare nell’opera antologica La nuova poesia religiosa
italiana, opera che
lo rese noto al grosso pubblico.
E intanto altre opere
vengono alla luce: In fondo alle tenebre,
Finestra sulla notte, Fiume della mia vita, S. Ignazio di Lojola, Colloqui, L’Angelo, L’istanza del
divino, oggi.
In quest’opera, Novelli
afferma che “la religiosità deve essere non testimonianza di parole, ma di opere,
in ispirito di totale servizio. Non parlare, ma vivere, in una documentazione
quotidiana, intellegibile anche dai più lontani e ignari, della autenticità del
Cristianesimo. Lasciar penetrare il Mistero della nostra vita, fino ad essere
fatti noi stessi mistero agli altri.”
Scorrendo le liriche
della maturità il poeta ci appare più intimo, più raccolto, padrone di se e
della parola, fedele alle sue premesse, alle sue promesse. E ciò è un merito,
poiché i poeti sogliono svolgersi, divenire,
sviluppare alcuni profondi motivi che rimangono pur sempre costanti: il poeta
più che creare deve afferrare,
ripulire, portare alla luce qualcosa che già esiste, un mondo interiore che ha cominciato a formarsi sin dall’infanzia.
Gino Novelli si è creato uno stile, non rozzo e nemmeno troppo ricercato,
spesso tutto giuocato su delicate sfumature quasi femminee. Né la sua
padronanza della tecnica versiliberistica può essere seriamente contestata, e
la sua naturalezza, cui egli «ricorre», come sua unica fonte, ci appare propria
della moderna poesia.
Angelo Anzioso nella
prefazione a L’eterna favola ebbe a scrivere: «poche linee,
abbozzi di caratteri, accenni di passione, gridi di coscienza, singhiozzi
d’anima, schianti di spirito e spesso un insistere su particolari e un
sorvolare su quel che, per altri, sarebbe stato interessante allargare in
un’analisi: ecco la prerogativa di Gino Novelli il quale ha molto sofferto per
le incongruenze della vita, il quale non ha saputo adattarsi al mondo
artificioso che lo circonda».
Ricorrente è nel Novelli
quell’ispirarsi ad una solitudine che è la sua pena, non sollecitata che dalla
malinconia dell’irraggiungibile: questi i punti essenziali del suo dramma di
uomo e di cattolico.
Camminavo lungo le
strade aspre e scoscese, / per farmi conoscere dagli uomini. / Bussavo a tutte
le porte. / E le porte, irte di chiodi, / mi laceravano le mani gonfie di gelo.
/ Nessuno mi dava la voce. Nessuno mi apriva. / Ero povero e nudo! (Fratello).
Quasi
si tocca con mano la sensazione del suo dramma giornaliero e della sua lotta
per vivere.
Lo stesso motivo lo
troviamo in Poeta: Era solo. Aveva tanta fame. /
Seduto sulla gradinata di una chiesa / lacero, misero, malato, / chiedeva
l’elemosina, / e sentiva nel cuore tanta musica, / tanta tenerezza, / come se
una orchestra d’angeli / suonasse per lui / e per la sua tristezza... Lo
stesso in Desiderio: Signore, io
voglio soffrire / come sempre ho sofferto. / Giorno per giorno: orribilmente. /
Perché se fossi sano, ricco, felice, / che cosa potrei offrire al Tuo amore /
di più veramente mio?
Ad un tratto ode
interiormente la chiamata misteriosa di un essere di cui ascolta La Voce: Io non so quale voce ascoltare. / Non so quale voce seguire. /
Tante ne arrivano al mio orecchio stanco. / Tu mi dici: Ascolta la più vicina,
/ la più pura. / Io sento il mio bambino che chiama: ‘Padre!’ / E anch’io dico:
‘Padre!’ e m’inginocchio / sulla nuda terra.
I suoi affetti di padre
hanno riferimenti in Dio, come la sua tristezza di vivere.
Il dialogo con Dio è un
altro motivo ricorrente in Novelli, uomo ricco di fede. Eccolo in Fede: Il
sangue parte dal cuore e nel cuore ritorna. / L’acqua parte dal cielo e nel
cielo ritorna. Io mi distaccai da Te, mio Dio / e vago per le strade del mondo
/ senza pensare che a Te devo ritornare.
Più viva si fa la sua
ansia religiosa in Dimmi chi sono: Signore dimmi chi sono. / Di terra
mi nutro, nutrimento della terra sarò. / Rombo sordo sento / e ardere di vene.
/ Le mie mani, e la bocca, e questi occhi, / sono segnati, rosi dal peccato /
(...) / Non fu vero vedere, non fu amare. / Riconoscimi, Signore, / da questo
amaro cuore.
E poiché ci sono infiniti
modi di parlare a Dio, è ovvio che il Novelli parli a Dio
secondo la legge di questa sensibilità.
Ecco una porta nel cielo / e il petto s’alluna, / può fiorire la sera nel mio cuore. / O voce di silenzio chi sei?
/ Posa la tua ombra / sul mio sangue d’uomo! / Ora (passi lievi ascolto).
Qualcuno è con me. / Dentro di me, / e mi parla... (Colloqui).
Sentendo Dio vicino a se,
esclama il poeta (ed è il verso più bello): Può fiorire la sera nel mio
cuore (Colloqui). Sera che fiorisce, con fiori notturni, e la
presenza di Dio, si identifica con tale sera.
Un modo malinconico di sentire Dio.
I versi si fanno meno
ispirati quando il poeta chiede a Dio la luce dell’azzurro (in opposizione al
buio): ...Non odi la mia voce? /
Salvami, Signore! / Irrompi nelle tenebre / portami con Te in un eterno azzurro.
In questa lirica, Preghiera, ciò che
veramente riesce poetica è la parte negativa: Prigioniero sono / di questo
dolore grande, / verme in grembo di montagna...
Il Novelli non prende a
prestito dalle poetiche altrui, non ha mai obbedito a compromessi letterari, né
a quelli politici. È rimasto sempre un isolato volontario, un frammento dell'infinito che si
unisce all’Eterno.
«L’accogliere la mestizia
vespertina - scriveva Aldo Capasso -, essere attratto dalle ore conturbate o conturbanti,
(il notturno plenilunio, l’occaso, lo scendere della sera) in cui pare che
l’anima della creatura spesso con una sottile angoscia, cerchi l’appoggio di un
essere superiore, a cui confidarsi e da cui impetrare un bisbiglio, un accenno
benigno, è un altro dei motivi ricorrenti: Muore il giorno nel mare e nelle
vie. / Sui tetti / balenii di luce: che si spegne stanca. / Sovrumano silenzio
dell’immensa sera! / Voci mi chiamano da remote plaghe. / Vagano nei sospesi
spazi ombre e fantasmi. / La terra finisce nel mare. / Affonda il cuore nella
sera (Dio). E ancora: Scende la sera con armonie di stelle / in
onde fa espandere l’umano cuore / verso richiami di orizzonti / che non hanno
tramonti né aurore. / Placide campane mondi celesti scalano / di secoli defunti
parole spargono vaste, / sulle cose vive e buie. / Ravvolto così d’oblio il
mondo attonito / nel cielo altissimo s’immerge e affonda (Naufragio)».
In altri versi, nota ancora Aldo Capasso, «il temperamento del Novelli sembra
quasi desideroso di struggersi, godendo di obliarsi nell'incantesimo
serale (anche quando esso ha qualcosa d’angosciato), godendo talora di
sciogliere in lacrime il nodo aspro, e forse vano, della consueta volontà
quotidiana».
Personaggio molto schivo,
riservato, apparentemente estraneo alla vita sociale, Gino Novelli ha vissuto
intimamente i fermenti culturali del nostro tempo, trasfondendoli sulle pagine
delle sue liriche, tanto che ne viene fuori «un mondo fatto di affetti e di
sentimenti - scrive Finocchiaro Chimirri -, espresso in una forma di poesia
genuina che, attingendo alle scaturigini più pure e costanti del sentire umano,
si salda a Dio».
Caduto nell’ansia e nella
prostrazione per l’acuirsi del male, smise di scrivere e a chi gli chiedeva il
motivo di questa decisione, rispondeva: «Gino Novelli è morto, ora si aspetta
la morte di Gaetano Ciulla».
«Fu
come se la linfa vitale - scrive Jole Virone -, che alimentava la sua continua
creazione, il suo stesso io vivente, si esaurisse di colpo».
Per i meriti letterari
acquisiti, l’Accademia Teatina per le Scienze di Chieti (1965) e l’Accademia
Tiberina di Roma (1966) hanno annoverato Gino Novelli tra i loro soci.
Salvatore Licata
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