giovedì 25 dicembre 2014


Alessandro Bonaffini

  

Alessandro Bonaffini nasce a Barrafranca il 16 dicembre 1883 da Giuseppe e Marianna Giunta. Sposatosi l’11 novembre 1928 con Grazia Medicina, dopo aver convissuto per oltre 19 anni, ha avuto sei figli: Marianna, Gaetano, Giuseppe, Luigi, Concetta e Santo. Analfabeta, sin da bambino è stato abituato a lavorare nei campi, assieme al padre e ai fratelli, divenendo uno più abili e ricercati potatori che la piazza offrisse allora. Tranne un breve periodo trascorso in America come emigrante, visse sempre a Barrafranca.
Alessandro Bonaffini, da tutti conosciuto come Sant’u Bàgghiu, però, oltre che per la propria valentia nel lavoro, era ricercato dai committenti anche per un altro motivo: era un abile verseggiatore. Il suo discorrere era un continuo verseggiare; bastava una frase, l’inizio di un discorso appena percepito, che Bonaffini s’intrometteva con i suoi versi e gli astanti rimanevano estasiati, capaci di ascoltarlo per ore intere. Nella sua lunga carriera di poeta compose circa ottocentosessanta poesie, ma ben poche sono quelle che ci rimangono e tutte affidate ad un nastro magnetico registrato prima della sua morte.
Ma da dove gli derivava questa sua capacità di esprimersi in versi; come riusciva a trovare il ritmo e la rima con quella facilità disarmante che gli permetteva di catturare l’attenzione di quanti l’ascoltavano? Qualcuno dice che questo suo modo di verseggiare l’ha ereditato dal padre, anche lui fine “poeta di piazza”. Secondo noi “l’arte” non si eredita, ma nasce con noi. E la poesia, quella dei contadini, dei poeti di piazza, era nata con lui, e lui, conscio di questo suo dono, la usava per esprimere i propri sentimenti e i propri risentimenti.
La poesia di Alessandro Bonaffini, fatta di parole di ogni giorno, racconta il costume sociale, gli attrezzi di lavoro, gli oggetti, le feste, in una sorta di epica popolare; facendoci apparire il film della vita come un racconto eroico dove il lavoro quotidiano, il sentimento, la condizione umana rappresentano la vita contadina, la fatica quotidiana, la miseria del bracciante. E ciò si denota nei primi versi di Arti e mestieri: Di l’ebbica vi parru cuncurrenti / si cu sti cosi si pò trari avanti, / li pisa e li valanzi su prisenti / chi senza aggitti pisanu vacanti, / una chi spenni assà ’un nni ’ccatta nenti / siddu chi parra è pigghiatu pi farfanti.
Come i cantastorie, Bonaffini racconta, nei suoi versi, vicende attuali legate sia alla storia del passato sia a quella presente. E in questa atmosfera l’arte popolare trova una sua continuità, un rapporto reale con i sentimenti degli uomini, come nel Giudizio universale: Scoti la terra e ’ncumincia a trimari, / tremanu li muntagni suli suli, / l’una cu l’atra si veni a ’rrivari / fa tirruri d’ogni piccaturi, / cala la terra, spalanca lu mari, / fa vidiri qual’è lu so Signuri; / ’ccumenzunu li valli a trapassari / innu facinnu strepitu e rumuri.
La poesia di Alessandro Bonaffini è fatta anche di piccole cose, di piccoli aneddoti, dove il poeta si esprime sempre in versi, come quando gli rubarono un maialino e sua moglie, scoperto il furto, si mise a imprecare contro il ladro. Il marito, senza scomporsi più di tanto, la invitò a calmarsi e a darsi pace con due versi: tu chi itti gastimi di canigghia / a genti cchiana e scinni gradigghi; è inutile arrabbiarsi, tanto qualcuno se lo sta mangiando. Oppure, quando, dopo aver atteso ai lavori nei campi, prima di tornare a casa, portò la mula ad abbeverarsi all’abbeveratoio del Canale. Dileggiato da un ragazzino per la sua veneranda età, gli rispose calmo: ricordati che io fui quel che tu sei / e che tu sarai quel che io sono. Come dire “non mi offendo perché anch’io sono stato ragazzino, ma attento: un giorno anche tu sarai vecchio”.
Nelle calde sere d’estate, seduto fuori attorniato da parenti e vicini, o a casa di amici, davanti a un pugno di noci e a un buon bicchiere di vino, il poeta intratteneva gli astanti che non finivano mai d’ascoltarlo.
E proprio in mezzo a questo mondo, con la sua tradizione e la sua passione, sta la poesia di Alessandro Bonaffini. Una poesia fatta per l’espressione orale, per essere detta alla gente, come un discorso, per il quale gli ascoltatori sono già preparati ma nonostante ciò pronti ad essere risucchiati da vortice della fantasia dal ritmo incalzante dei versi.
Carico di anni e di acciacchi, Alessandro Bonaffini muore il 18 aprile 1972.
Alessandro Bonaffini ha composto centinaia di poesie e di poemi ma, purtroppo, non ha lasciato niente di scritto, tutto quello che rimane, ed è ben poca cosa, lo si deve a chi ha avuto la pazienza di trascrivere i versi dopo averli registrati. Peccato che di tanta produzione ci rimane così poco. Oltre che per i poemi, Bonaffini è noto per i suoi contrasti, componimenti in versi, caratteristici della letteratura medievale, costituiti da un dialogo tra due persone, o elementi personificati, in reale o apparente contesa, come I misi di l’annu e Tuppi Tuppi.
Del Tuppi Tuppi ne sono arrivate a noi due versioni senza titolo, una completa e una incompleta (entrambe riportate nella seconda parte dell’opera). Per distinguerle l’una dall’altra, abbiamo preferito titolare la prima Rosa vermiglia e la seconda Lucente spera, dialogo amoroso tra l’uomo che mosso da passione chiede amore, passando dalla gentilezza alla sfrontatezza, senza cadere nella volgarità, e la donna che dapprima rifiuta e resiste minacciando anche: Chi sta dicìnnu, omu mmalidittu? / Talé vatìnni, squàgghiami davanti, / cerca truvari lu viùlu dirittu. / Di la pirsuna mia statti distanti, / chi si capisci sà chi t’haiu dittu, / nun fa’ bisugnu parrari bastanti. / Quannu ti sintu diri ssi palori, / ti chiantassi un pugnali ’nti lu cori, e che infine cede: Pippinu, quant’è longa sta dimura, / vidìri stu curuzzu accuntintari. / Vidi quant’haiu statu traditura, / d’u lungu timpu fàriti pinari! / Trasi, chi trovi la to’ criatura. / Si patruni, di mia pò fari e sfari. / Mentri sugnu stasira a to’ favuri, / ti cunzignu lu sciuri di l’amuri.
«Questo contrasto – scrive Salvatore Riolo -, è il più completo, di migliore fattura rispetto agli altri contrasti siciliani a me noti, forse il più bello di tutti ed è anche originale». Il testo del Bonaffini, infatti, secondo il Riolo, nulla ha da invidiare alla Rosa fresca aulentissima di Cielo d’Alcamo, ritenuto il primo componimento amoroso della letteratura risalente al periodo della scuola siciliana.
Nel contrasto del Bonaffini, giocato fra un poeta e una donna, infatti, si fa uso di metafore erotiche e di immagini colte, tratte sovente dalle scienze, che conferiscono un gusto inedito ai motivi provenzali. Punto fermo, comunque, restano le similitudini, mentre alcune variazioni, che attingono ai modi popolari, se non al vernacolo più intenso, lasciano avvertire il sussulto d’una creatività personale.

Di tutta la produzione del Bonaffini, pochi, dicevamo, i componimenti che sono stati raccolti da pochi studiosi. Oltre ai poemi e ai contrasti citati, ricordiamo i titoli degli altri componimenti del nostro Autore: U sdegnu di fimmini; Invettiva contro i preti; Canzoni d’amore; A Santa Rita; Alla Musa e Poesia di Mussolini.

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