Alessandro Bonaffini
Alessandro
Bonaffini nasce a Barrafranca il 16 dicembre 1883 da Giuseppe e Marianna
Giunta. Sposatosi l’11 novembre 1928 con Grazia Medicina, dopo aver convissuto
per oltre 19 anni, ha avuto sei figli: Marianna, Gaetano, Giuseppe, Luigi,
Concetta e Santo. Analfabeta, sin da bambino è stato abituato a lavorare nei
campi, assieme al padre e ai fratelli, divenendo uno più abili e ricercati
potatori che la piazza offrisse allora. Tranne un breve periodo trascorso in
America come emigrante, visse sempre a Barrafranca.
Alessandro
Bonaffini, da tutti conosciuto come Sant’u Bàgghiu, però, oltre che per la
propria valentia nel lavoro, era ricercato dai committenti anche per un altro
motivo: era un abile verseggiatore. Il suo discorrere era un continuo
verseggiare; bastava una frase, l’inizio di un discorso appena percepito, che
Bonaffini s’intrometteva con i suoi versi e gli astanti rimanevano estasiati,
capaci di ascoltarlo per ore intere. Nella sua lunga carriera di poeta compose
circa ottocentosessanta poesie, ma ben poche sono quelle che ci rimangono e
tutte affidate ad un nastro magnetico registrato prima della sua morte.
Ma
da dove gli derivava questa sua capacità di esprimersi in versi; come riusciva
a trovare il ritmo e la rima con quella facilità disarmante che gli permetteva
di catturare l’attenzione di quanti l’ascoltavano? Qualcuno dice che questo suo
modo di verseggiare l’ha ereditato dal
padre, anche lui fine “poeta di piazza”.
Secondo noi “l’arte” non si eredita, ma
nasce con noi. E la poesia, quella dei contadini, dei poeti di piazza, era nata
con lui, e lui, conscio di questo suo dono, la usava per esprimere i propri
sentimenti e i propri risentimenti.
La poesia di Alessandro Bonaffini, fatta di parole di
ogni giorno, racconta il costume sociale, gli attrezzi di lavoro, gli oggetti,
le feste, in una sorta di epica popolare; facendoci apparire il film della vita
come un racconto eroico dove il lavoro quotidiano, il sentimento, la condizione
umana rappresentano la vita contadina, la fatica quotidiana, la miseria del
bracciante. E ciò si denota nei primi versi di Arti e mestieri: Di l’ebbica vi parru cuncurrenti / si cu sti cosi si pò trari avanti, / li
pisa e li valanzi su prisenti / chi senza aggitti pisanu vacanti, / una chi
spenni assà ’un nni ’ccatta nenti / siddu chi parra è pigghiatu pi farfanti.
Come i cantastorie, Bonaffini racconta, nei suoi
versi, vicende attuali legate sia alla storia del passato sia a quella presente.
E in questa atmosfera l’arte popolare trova una sua continuità, un rapporto
reale con i sentimenti degli uomini, come nel Giudizio universale: Scoti la terra e ’ncumincia a trimari, /
tremanu li muntagni suli suli, / l’una cu l’atra si veni a ’rrivari / fa
tirruri d’ogni piccaturi, / cala la terra, spalanca lu mari, / fa vidiri qual’è
lu so Signuri; / ’ccumenzunu li valli a trapassari / innu facinnu strepitu e
rumuri.
La poesia di Alessandro Bonaffini è fatta anche di piccole
cose, di piccoli aneddoti, dove il poeta si esprime sempre in versi, come
quando gli rubarono un maialino e sua moglie, scoperto il furto, si mise a
imprecare contro il ladro. Il marito, senza scomporsi più di tanto, la invitò a
calmarsi e a darsi pace con due versi: tu chi itti gastimi di canigghia / a
genti cchiana e scinni gradigghi; è inutile arrabbiarsi, tanto qualcuno se
lo sta mangiando. Oppure, quando, dopo aver atteso ai lavori nei campi, prima
di tornare a casa, portò la mula ad abbeverarsi all’abbeveratoio del Canale.
Dileggiato da un ragazzino per la sua veneranda età,
gli rispose calmo: ricordati che io fui quel che tu sei / e che tu sarai quel che io sono. Come dire “non mi offendo perché anch’io sono stato ragazzino, ma attento: un giorno anche tu sarai vecchio”.
Nelle calde sere d’estate, seduto fuori attorniato da
parenti e vicini, o a casa di amici, davanti a un pugno di noci e a un buon
bicchiere di vino, il poeta intratteneva gli astanti che non finivano mai
d’ascoltarlo.
E proprio in mezzo a questo mondo, con la sua tradizione e
la sua passione, sta la poesia di Alessandro Bonaffini. Una poesia fatta per
l’espressione orale, per essere detta alla gente, come un discorso, per il
quale gli ascoltatori sono già preparati ma nonostante ciò pronti ad essere
risucchiati da vortice della fantasia dal ritmo incalzante dei versi.
Carico di anni e di acciacchi, Alessandro Bonaffini
muore il 18 aprile 1972.
Alessandro Bonaffini ha composto centinaia di poesie e
di poemi ma, purtroppo, non ha lasciato niente di scritto, tutto quello che
rimane, ed è ben poca cosa, lo si deve a chi ha avuto la pazienza di
trascrivere i versi dopo averli registrati. Peccato che di tanta produzione ci
rimane così poco. Oltre che per i poemi, Bonaffini è noto per i suoi contrasti,
componimenti in versi, caratteristici della letteratura medievale, costituiti
da un dialogo tra due persone, o elementi personificati, in reale o apparente
contesa, come I misi di l’annu e Tuppi Tuppi.
Del Tuppi Tuppi ne sono arrivate a noi due versioni
senza titolo, una completa e una incompleta (entrambe riportate nella seconda
parte dell’opera). Per distinguerle l’una dall’altra, abbiamo preferito
titolare la prima Rosa vermiglia e la seconda Lucente spera,
dialogo amoroso tra l’uomo che mosso da passione chiede amore, passando dalla
gentilezza alla sfrontatezza, senza cadere nella volgarità, e la donna che
dapprima rifiuta e resiste minacciando anche: Chi sta dicìnnu, omu mmalidittu? / Talé vatìnni, squàgghiami davanti,
/ cerca truvari lu viùlu dirittu. / Di la pirsuna mia statti distanti, / chi si
capisci sà chi t’haiu dittu, / nun fa’ bisugnu parrari bastanti. / Quannu ti
sintu diri ssi palori, / ti chiantassi un pugnali ’nti lu cori, e che
infine cede: Pippinu, quant’è longa sta
dimura, / vidìri stu curuzzu accuntintari. / Vidi quant’haiu statu traditura, /
d’u lungu timpu fàriti pinari! / Trasi, chi trovi la to’ criatura. / Si
patruni, di mia pò fari e sfari. / Mentri sugnu stasira a to’ favuri, / ti
cunzignu lu sciuri di l’amuri.
«Questo contrasto – scrive Salvatore Riolo -, è il più
completo, di migliore fattura rispetto agli altri contrasti siciliani a me
noti, forse il più bello di tutti ed è anche originale». Il testo del
Bonaffini, infatti, secondo il Riolo, nulla ha da invidiare alla Rosa fresca
aulentissima di Cielo d’Alcamo, ritenuto il primo componimento amoroso
della letteratura risalente al periodo della scuola siciliana.
Nel contrasto del Bonaffini, giocato fra un poeta e
una donna, infatti, si fa uso di metafore erotiche e di immagini colte, tratte
sovente dalle scienze, che conferiscono un gusto inedito ai motivi provenzali.
Punto fermo, comunque, restano le similitudini, mentre alcune variazioni, che
attingono ai modi popolari, se non al vernacolo più intenso, lasciano avvertire
il sussulto d’una creatività personale.
Di tutta la produzione del Bonaffini, pochi, dicevamo,
i componimenti che sono stati raccolti da pochi studiosi. Oltre ai poemi e ai
contrasti citati, ricordiamo i titoli degli altri componimenti del nostro
Autore: U sdegnu di fimmini; Invettiva contro i preti; Canzoni d’amore; A Santa Rita; Alla Musa e Poesia di Mussolini.
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